In un call center va sempre bene. Ce ne sono di due tipi, quelli in cui il tizio selezionatore è super impegnato e super aggressivo, poi c’è quello in cui la tizia è gentile e affabile. A me è capitato anche un terzo tipo di cui vi racconterò.
Secondo tentativo in un call center: questo a due passi da casa, carino, con le stampe dei deserti africani e delle foreste amazzoniche, la solita macchinetta del caffè e snack salatini imperante all’ingresso. Mai un divanetto decente, una fila di sedie da ospedale.
Comunque, la mia selezionatrice è una ragazza sui 30, bassina, dimenticabile ma molto sicura di sè, peccato per l’abitino Artigli di forse 4 inverni fa, un po’ liso sui polsi. Il colloquio va superbene, chiedo e richiedo il compenso, le percentuali, gli orari e le solite cose. Il giorno dopo mi richiama per il primo dei due giorni di indottrinamento.
Ci vado. Siamo in cinque: una ragazza credo laureata precaria come me, un paio di studentesse in cerca di un lavoretto part time e un paio di ragazze non più giovanissime. Indossano tutte qualcosa di sbrilluccicante, o un paio di orecchini o una fila di bottoni, un orologio o un fermaglio. Io no. Sembro appena uscita da un funerale o meglio, mi crogiolo nell'idea di esserci appena entrata, immagino tutte queste ragazze-vedove con fazzoletti in mano, occhiali da sole enormi, il viso pallido e il rossetto marcato, in pieno stile anni '50 insomma. Davanti a loro la lenta carovana delle scrivanie delle addette a questo call center con i fili dei lugubri telefoni neri che strascicano a terra, tutta la scena è rigorosamente in bianco e nero, al momento dell'interramento delle scrivanie le ragazze si avvicinano alla fossa ma al posto di buttare la classica rosa rossa buttano le carte degli snack delle macchinette che stanno avidamente mangiando sbavandosi tutto il rossetto.
La selezionatrice, che oggi è la nostra insegnante e che ieri era un’addetta al call center e che domani sarà a presidiare non riesco neanche ad immaginare quale altissimo vertice, indossa un abito simile a quello di ieri, mi chiedo, forse in quel periodo era ricca e poteva permettersi tanti abitini Sasch e Motivi, questo ha il colletto sbiadito e i pallini sui gomiti.
Ci riempie di domandine, comincia a spiegare e poi ci fa la domandina, poi torna indietro a rifarci la stessa domandina, poi punta a caso il dito su ognuna di noi e ci fa risolvere il problemino, si tratta di vendere abbonamenti telefonici e ci sta facendo capire, percentuali alla lavagnetta, che è davvero conveniente la sua offerta. Le ragazze si sforzano, e anche io a dire il vero e ringrazio iddio che ha inventato l’editore della Settimana Enigmistica, rivista onnipresente nel mobiletto del bagno di casa dei miei.
Ma io lo so che adesso ci dirà qualcosa di speciale, perché comincia a raccontare di sé della sua impennata sociale in questo call center e degli inizi e delle colleghe e…eccolo….LO SCOGLIO. In ogni fantastico racconto che si rispetti ci deve sempre essere uno scoglio, ma lei, abitinogrigino, ci tranquillizza, non temete, per me non lo è stato, non lo sarà per voi.
“Il nostro obiettivo è il direttore, e per arrivare al direttore dovete superare uno scoglio: la segretaria.” dice sorridendo cattivissima, “ognuna di noi ha un suo metodo, la mia amica diventava loro amica, cominciava a darle del tu, a chiedere come stai a parlare del più e del meno, fino a quando riusciva a farselo passare. Però questo le comportava molto tempo e molto impegno, anche mesi. Io invece utilizzo una mia personalissima tecnica” ci guarda, il sorriso diventa malizioso mi volto verso le altre ragazze, non c’è alcuna espressione nei loro occhi, “io mi fingo la sua amante.” e ci guarda, e io riguardo le altre ragazze che mostrano negli occhi un barlume di vita, ma non è certo la reazione che lei si aspettava.
Ohhhhhhh e sgranarono tutte gli occhi, qualcuna si alzò per stringerle la mano, altre cominciarono ad appuntare tutte le sue parole sul taccuino, altre le scattarono foto, e lei lì, magnifica nel suo profumato abito antracite, una silhouette statuaria si stagliava sullo sfondo bianco accecante della lavagnetta.
Niente di tutto ciò.
Abitinogrigio naturalmente ha continuato a darci dettagli del suo talentuoso escamotage. Non ricordo altro. Solo che uscendo e passando attraverso la piccola sala del call center con le ragazze sulla sinistra e il loro controllore ad una scrivania sulla destra mi cade una penna. Nel raccoglierla mi sento un po’ come Sartre sulla spiaggia con il ciottolo in mano. Niente esistenzialismo però. Solo la fila scomposta delle scarpe sotto le scrivanie allineate.
Il giorno seguente mi richiamano per la seconda lezione, mi do malata, il giorno dopo anche e così non ci sono più tornata.
Quesito del post: quante volte vi è capitato di dover recitare sul lavoro una parte che non vi rispecchiava?