domenica 22 maggio 2011

la pausa sigaretta

©GiuliaFacile 2011

Nel post precedente vi ho raccontato una delle esperienze in un call center, ma non vi ho raccontato la pausa caffè che la signorina Abitinogrigio ci ha concesso a metà del corso.

Abitinogrigio, sempre sorridentissima alle 18 spaccate ci invita alla pausa sigaretta. Ci accompagna in un angolino del call center, una sorta di stanzino con le finestre aperte che danno sul grigio cortile interno, è strettissimo, ci sono delle minuscole poltroncine e dei minuscoli tavolini Ikea poggiati al muro ed una consolle con un piccolo microonde e una macchinetta per il caffè, tutto bianco, e direi anche grazioso.

Abitinogrigio ci dice DOVE sederci, ci dice DOVE poggiare le borse, ci dice DOVE ciccare le sigarette, ci dice DOVE parlare, poi si accende anche lei una sigaretta, la fuma velocissima, più di me che pensavo di essere insuperabile in questo. Noi non ci sentiamo libere neanche di guardarci, nè di fare commenti, nè di rilassarci, Abitinogrigio ci guarda e fa l'amicona, è chiaro come il muro che ci sta studiando e non fa  niente per non farcelo capire. Si allontana e noi siamo così intimidite che neanche adesso che siamo rimaste sole riusciamo a commentare. Torna subitissimo, la pausa davvero è durata 5 minuti, io non ho avuto neanche il tempo di inviare un sms.

Pausa sigaretta: sono in un'enorme stanza bianca dalle pareti altissime, il soffitto è una finestra aperta dalla quale mi vengono lanciati snack di tutti i tipi, ne vengo sommersa, mi sembra di stare nella calza della Befana. Le altre ragazze del corso sono fuori e per salvarmi mi lanciano lunghissimi fili di telefono ma io non mi aggrappo, svengo tra Tuc e Fieste.

io mi fingo la sua amante


In un call center va sempre bene. Ce ne sono di due tipi, quelli in cui il tizio selezionatore è super impegnato e super aggressivo, poi c’è quello in cui la tizia è gentile e affabile. A me è capitato anche un terzo tipo di cui vi racconterò.

Secondo tentativo in un call center: questo a due passi da casa, carino, con le stampe dei deserti africani e delle foreste amazzoniche, la solita macchinetta del caffè e snack salatini imperante all’ingresso. Mai un divanetto decente, una fila di sedie da ospedale. 
Comunque, la mia selezionatrice è una ragazza sui 30, bassina, dimenticabile ma molto sicura di sè, peccato per l’abitino Artigli di forse 4 inverni fa, un po’ liso sui polsi. Il colloquio va superbene, chiedo e richiedo il compenso, le percentuali, gli orari e le solite cose. Il giorno dopo mi richiama per il primo dei due giorni di indottrinamento.

Ci vado. Siamo in cinque: una ragazza credo laureata precaria come me, un paio di studentesse in cerca di un lavoretto part time e un paio di ragazze non più giovanissime. Indossano tutte qualcosa di sbrilluccicante, o un paio di orecchini o una fila di bottoni, un orologio o un fermaglio. Io no. Sembro appena uscita da un funerale o meglio, mi crogiolo nell'idea di esserci appena entrata, immagino tutte queste ragazze-vedove con fazzoletti in mano, occhiali da sole enormi, il viso pallido e il rossetto marcato, in pieno stile anni '50 insomma. Davanti a loro la lenta carovana delle scrivanie delle addette a questo call center con i fili dei  lugubri telefoni neri che strascicano a terra, tutta la scena è rigorosamente in bianco e nero, al momento dell'interramento delle scrivanie le ragazze si avvicinano alla fossa ma al posto di buttare la classica rosa rossa buttano le carte degli snack delle macchinette che stanno avidamente mangiando sbavandosi tutto il rossetto.

La selezionatrice, che oggi è la nostra insegnante e che ieri era un’addetta al call center e che domani sarà a presidiare non riesco neanche ad immaginare quale altissimo vertice, indossa un abito simile a quello di ieri, mi chiedo, forse in quel periodo era ricca e poteva permettersi tanti abitini Sasch e Motivi, questo ha il colletto sbiadito e i pallini sui gomiti.
Ci riempie di domandine, comincia a spiegare e poi ci fa la domandina, poi torna indietro a rifarci la stessa domandina, poi punta a caso il dito su ognuna di noi e ci fa risolvere il problemino, si tratta di vendere abbonamenti telefonici e ci sta facendo capire, percentuali alla lavagnetta, che è davvero conveniente la sua offerta. Le ragazze si sforzano, e anche io a dire il vero e ringrazio iddio che ha inventato l’editore della Settimana Enigmistica, rivista onnipresente nel mobiletto del bagno di casa dei miei.
Ma io lo so che adesso ci dirà qualcosa di speciale, perché comincia a raccontare di sé della sua impennata sociale in questo call center e degli inizi e delle colleghe e…eccolo….LO SCOGLIO. In ogni fantastico racconto che si rispetti ci deve sempre essere uno scoglio, ma lei, abitinogrigino, ci tranquillizza, non temete, per me non lo è stato, non lo sarà per voi.
“Il nostro obiettivo è il direttore, e per arrivare al direttore dovete superare uno scoglio: la segretaria.” dice sorridendo cattivissima, “ognuna di noi ha un suo metodo, la mia amica diventava loro amica, cominciava a darle del tu, a chiedere come stai a parlare del più e del meno, fino a quando riusciva a farselo passare. Però questo le comportava molto tempo e molto impegno, anche mesi. Io invece utilizzo una mia personalissima tecnica” ci guarda, il sorriso diventa malizioso mi volto verso le altre ragazze, non c’è alcuna espressione nei loro occhi, “io mi fingo la sua amante.” e ci guarda, e io riguardo le altre ragazze che mostrano negli occhi un barlume di vita, ma non è certo la reazione che lei si aspettava.

Ohhhhhhh e sgranarono tutte gli occhi, qualcuna si alzò per stringerle la mano, altre cominciarono ad appuntare tutte le sue parole sul taccuino, altre le scattarono foto, e lei lì, magnifica nel suo profumato abito antracite, una silhouette statuaria si stagliava sullo sfondo bianco accecante della lavagnetta.
Niente di tutto ciò.

Abitinogrigio naturalmente ha continuato a darci dettagli del suo talentuoso escamotage. Non ricordo altro. Solo che uscendo e passando attraverso la piccola sala del call center con le ragazze sulla sinistra e il loro controllore ad una scrivania sulla destra mi cade una penna. Nel raccoglierla mi sento un po’ come Sartre sulla spiaggia con il ciottolo in mano. Niente esistenzialismo però. Solo la fila scomposta delle scarpe sotto le scrivanie allineate.

Il giorno seguente mi richiamano per la seconda lezione, mi do malata, il giorno dopo anche e così non ci sono più tornata.

Quesito del post: quante volte vi è capitato di dover recitare sul lavoro una parte che non vi rispecchiava?

sabato 21 maggio 2011

sono due settimane

©GiuliaFacile2011
Sono due settimane che non ho internet, pensavo ieri, sono due settimane che non rispondo agli annunci di Infojobs.

La mattina, appena sveglia, mi stropiccio gli occhi e il portatile è già lì pronto. La mia casella di posta elettronica non riceve una mail da un essere umano che saranno mesi, solo newsletter e i soliti Infojobs, Trovolavoro, Job in Tourism, Career Builder, Monster...loro sono i miei amici del mattino. E poi della tarda mattinata. E poi del dopopranzo. E poi del pomeriggio.

La verità è che ci sono sempre tantissime cose da fare...aggiornare il CV, riaggiornarlo, scrivere milioni di lettere di presentazione, cercare, forse mi sta sfuggendo il lavoro della mia vita, chiedere in giro referenze, distrarsi, tentare la fortuna, arronzare...

Oggi mi hanno riattivato internet, scrivo alle 23 e passa perchè sono stata tutto il giorno a vedere quali grandi occasioni mi sono persa in questi giorni.